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Didattica in corpore vili - L'attualizzazione

L’attualizzazione

 

In Italia l’istruzione è obbligatoria per legge fino alla maggiore età. Fino a 16 anni c’è l’obbligo scolastico che consiste nell’andare a scuola, dopodiché c’è l’obbligo formativo che vuol dire che un giovane, fra i 16 ed i 18 anni, può non andare a scuola ma deve comunque conseguire una formazione di qualche genere: con tirocini aziendali, ad esempio, o con corsi di formazione specifici. Ma solo il diploma di maturità conseguito in una scuola pubblica dà la possibilità di accesso all’università.

Poiché la legge interviene quando se ne ravvisa una necessità, l’obbligo scolastico si è reso necessario per arginare l’abbandono scolastico. Questa necessità non si era ravvisata fino alla seconda metà dell’ultimo decennio del vecchio millennio perché il fatto è che andare a scuola, o anche il semplice studio, un tempo era cosa sensata per i giovani stessi che di buon grado si sacrificavano a fare gli studenti sia come ascensore sociale sia come semplice fatto che era (ed è ancora) la formazione che fornisce un primo accesso al mondo produttivo. Nel corso degli ultimi tre decenni il senso che la scuola aveva per i giovani è largamente scemato o venuto meno. La società ha cercato, e tuttora cerca, di porre rimedio a questo vuoto di senso per via di giurisprudenza che, però, non è il mezzo proprio della scuola.

Gli istituti professionali sono in grado di far fronte al vuoto di senso degli studenti in parecchi e diversi modi.

In primo luogo favorendo i rapporti fra pari con le didattiche alternative: ad esempio sollecitando i lavori di gruppo o momenti di lezione dialogata. Questo tipo di didattica è quello che è totalmente mancato nella didattica a distanza e ne sancisce il pressoché totale fallimento.

In secondo luogo, però, mettendo in evidenza quella che è la connessione fra le cose: mischiando insieme teoria e pratica con le attività nei laboratori, sollecitando la consapevolezza più che la conoscenza degli argomenti trattati, eventualmente in forma laboratoriale. Può darsi che, così facendo, si riesca a fornire agli studenti una minore quantità di conoscenze (del che si dubita, dal momento che non c’è competenza senza conoscenza), ma si ottengono due risultati socialmente e professionalmente rilevanti: un’estesa consapevolezza delle proprie conoscenze ed un arricchimento del senso di esse e del ruolo significante che le forme di conoscenza hanno nella vita di ciascuno.

Le didattiche che riescono a raggiungere questo scopo sono ben presenti e largamente utilizzate negli istituti professionali. Varrà, a titolo di esempio, la differenza, non immediatamente evidente ai non addetti ai lavori, fra didattica “laboratoriale” e didattica “nei laboratori”. La didattica “in laboratorio” è quella specifica degli istituti professionali che prevede l’uso di ambienti e strumenti particolari che afferiscono all’ambito professionale. Con didattica “laboratoriale”, invece, si intende l’impiego di tecniche pedagogiche diverse e alternative alla didattica frontale: ad esempio il dialogo educativo, il problem solving, il brain storming, la videoproiezione guidata e moltissime altre tecniche che si sono sviluppate negli ultimi anni e tuttora sono materia di ricerca.

Non solo, dunque, il significato delle cose e della propria vita si apprende attraverso una attualizzazione ovvia degli argomenti che prevedono un riscontro nella vita quotidiana extrascolastica degli studenti, ma anche attraverso una modernizzazione delle tecniche di insegnamento nelle quali gli istituti professionali si sono dimostrati spesso all’avanguardia.