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Didattica in corpore vili - Facile navigare

Facile navigare

 

“Navigare / è necessario; non è necessario / vivere”: così cominciano le “Laudi del cielo, della terra, del mare e degli eroi” di Gabriele D’Annunzio.

Parafrasando e metaforizzando possiamo dire: “non è necessario sapere ma saper utilizzare quel (poco) che si sa”. Questo è uno snodo cruciale nella scuola da almeno tre quarti di secolo. Su questo terreno si sono incontrate, scontrate, articolate le didattiche delle scuole europee e su questo si differenzia la scuola italiana da quella francese o anglosassone. Diversi stili di insegnamento e di apprendimento si mischiano, convivono e confliggono nel dibattito e nella pratica dei vari paesi europei di fronte alla questione se la scuola debba fornire competenze o conoscenze, quante e quali competenze, quante e quali conoscenze.

La struttura fondamentalmente liceale e licealizzata della scuola italiana ha la sua origine storica e la propria tradizione nella filosofia liberale crociana e gentialiana, postehegeliana. La sua espressione più tradizionale è la lezione frontale su base storicista. Così, la filosofia è diventata “storia della filosofia” e la letteratura “storia della letteratura, salvo poi ridurre al lumicino la storia vera riducendone il monte ore, segno evidente che l’impianto didattico tradizionale non sta più in piedi.

Altre tradizioni, come quella francese, interpretano la storia come una scienza umana cosicché, frequentemente, una lezione di storia non racconterà più un fatto ma piuttosto quali sono o sono stati i meccanismi sociologici o economici che quel fatto hanno prodotto ed articolato. Altre ancora, come quella anglosassone, tenderanno a modellizzare, etichettare, specializzare e scientificizzare i fatti di vita e di cultura.

Ora, non si tratta di scegliere e di decidere quale tradizione sia o meno la migliore: è una scelta che neanche si pone perché ognuno ha la sua tradizione ed anche noi abbiamo la nostra. Non siamo italiani per scelta ma per destino.

Si tratta, invece, di vedere quali principi, quali tecniche, quali modi sono più o meno efficaci per raggiungere uno scopo.

La scelta dell’istituto professionale non è ambigua ma netta e precisa perché così sono o, almeno, così si debbono interpretare e comprendere i segnali delle società attuali: con chiarezza e nettezza ma anche con la consapevolezza di poter sbagliare.

Così, con questa nettezza, l’istituto professionale è decisamente fondato sulla creazione di competenze, fermo restando che non esiste competenza senza conoscenza ma anche che per fare grandi competenze non sono necessarie grandi conoscenze.

In questo senso “navigare è necessario, non è necessario vivere”: saper fare (che include anche il pensare) è necessario, non è necessario sapere.