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La mia interpretazione di Masterpiece

Questa è la mia intepretazione delle prove di Masterpiece:

 


 

Ciao Ale,

amico come c'erano solo ai tempi di Catullo” (Quasimodo). Come ti butta la vita, dove ti getta? Nell'esser vivi, spero per te.

Io invece sto in mezzo ai morti – e in questo sono allegrissimo.

Ci sono due tipi di musica che non sopporto: il jazz perché non lo capisco (sono molto poche le cose che capisco!) e il liscio perché ne ho fatte scorpacciate nell'infanzia.

I miei genitori, infatti, amavano ballare e hanno ballato fino a morirne.

Quando già era sulla sedia a rotelle, il mio babbo voleva andare a una festa danzante (che lo dico affa'!! col liscio!!!) alla parrocchia. Era domenica e io uscivo per conto mio. Gli dissi: “Oh babbo!, ma che vuoi balla'!! Sei sulla sedia a rotelle, che minkia ti balli!!”.

E uscii per conto mio, con la macchina – non ricordo neanche cosa andavo a fare. (Ma come tu, certo, t'immagini niente di più probabile che fossi andato in macchina ai bordi di una maggese in chianti a scrivere, leggere o meditare.)

Mi telefonò mia mamma: “Ir tu' babbo è scappato!!! Non so dov'è, ritorna c'è da cercarlo!!!”

Ovviamente tornai a casa e mio babbo non c'era. Chiesi alla mia mamma: “Che è successo?”

Voleva andare a ballare, te non ce l'hai portato e lui è andato da sé con la carrozzina. Poi ha cominciato a piovere ed è tornato a casa era fradicio! Era arrivato solo in cima alla strada. S'è cambiato, s'è messo i panni asciutti e è risortito. Poi m'è sparito e non so dov'è andato.”

Il primo posto dove provai a guardare fu alla parrocchia. Ale, non ci crederai ma era lì! Era a un tavolo, con la sua sedia a rotelle, e gli dava al vino rosso. Erano allo stesso tavolo parecchi suoi coetanei e ridevano come matti; si divertivano!!! Naturalmente non ballava – perché era su una sedia a rotelle – ma, kazzo!!, era vivo, VIVO PARECCHIO.

Mi sono seduto al suo tavolo e m'ha subito versato da bere e ho sorriso anch'io.

Gli ho chiesto che cosa avesse fatto e lui mi disse: “Eh!, te non mi c'hai portato e sicché ci son venuto da me a ballare! Solo che poi ha cominciato a piovere e io ero nel mezzo della strada e l'ho presa tutta!! Poi è passato il Mario in macchina e m'ha fatto: 'ndo vai?! e io gli ho detto che andavo a ballare, allora m'ha caricato in macchina con la carrozzina, m'ha portato a casa a cambiarmi e m'ha aspettato in macchina poi m'ha portato qui”

Tarallucci e vino: tanto il mio babbo lo conoscevi anche te, Ale, che m'hai detto quand'è morto – te lo ricordi?: “Sta' tranquillo, tanto è lassù che se la ride di sicuro e brinda con gli amici!”

Erano tutti e due potenti ballatori, mia mamma e mio babbo.

Quando la mia mamma s'è troncata le prime due vertebre cervicali (C1 e C2) e era all'ospedale, fra le varie allucinazioni che ha avuto – e che l'hanno fatta sopravvivere – c'era una farfalla che era entrata dalla finestra (chiusa) e sbatteva le ali sul soffitto. (Era la sua anima che tornava a lei; non sarebbe morta ma sopravvissuta ancora per parecchi mesi e anni con quelle vertebre affankulo e il midollo spinale che l'avrebbe uccisa a qualunque minimo trauma.) Oltre alla farfalla, che era di tutta evidenza un'allucinazione visiva, sentiva delle musica in strada fuori dalla finestra dell'ospedale – che era con tutta evidenza un'allucinazione uditiva. E mi telefonarono dal reparto alle sette di mattina perché mi cercava dalle cinque. Ovviamente mi precipitai, anche un po' infervorato perché non mi avevano chiamato subito.

Oh mamma!! Che c'è?! Dicono qui che mi cerchi dalle cinque di stamani, che t'è successo, che vuoi?”, le chiesi appena riuscii a raggiungere il reparto.

Avevo sentito la musica qui sotto la strada, fuori dalla finestra: volevo tu mi portassi a ballare quella musica!”

Ma non c'era nessuna musica per lei, al di fuori dei cori angelici. (Capirai: frattura fra C1 e C2!!! Non era neanche in grado di muovere la testa, figurati alzarsi dal letto!!!)

E adesso, li vedo ballare in questa balera il ballo dei morti. Con questa musica di cui ho nausea. Ma è la loro vita che ha senso in questo momento.

Che loro struscino davvero i loro piedi sul pavimento, mio padre con la lingua di fuori, o che lo facciano solo i loro coetanei è poco significativo. È il loro ballo che vedo, il loro desiderio d'attaccarsi alla vita in mezzo a quella musica; uno che vuol ballare anche sulla sedia a rotelle, l'altra che vuol ballare anche se non può muovere nemmeno un muscolo del suo corpo. Il loro ballo è la voglia di vivere; la voglia di vivere dei morti!

Sai che c'è, Ale?: è un bel modo per vivere e, forse, anche per morire.

 


 

Ciao Ale,

 

amico come c'erano solo ai tempi di Catullo” (Quasimodo). Se ben ricordo – trecentosessantacinque giorni all'alba – questa gente l'hai conosciuta anche te.

 

Ricordo le lettere che mi scrivevi dalla Cecchignola, una caserma romana se la memoria ancestrale dei miei vent'anni non m'inganna, narrandomi le tue esperienze militari che non erano esperienze militari ma familiari – nel momento in cui facevi il militare i tuoi genitori si separarono.

 

E ricordo anche quello che dicesti a mia mamma quando sono partito militare io; lei si preoccupava che io patissi la fame e tu le dicesti: “Sta' tranquilla che finché ci saranno le locuste su questa terra, da mangiare il tuo figliolo lo trova!”.

 

Ma nel mio anno di militare non solo non m'è mancato niente, ma il mangiare sopra di tutto – e il bere – era un sogno. (Nel senso che ora, con la produzione di cibo seriale, ci si sogna come si mangia, quant'è buona la roba cavata dalla terra vera o allevata nella stalla. Polli, coniglioli, bovi: non mancava la carne né la verdura dell'orto grande.)

 

Perché io, davvero, non ho fatto il militare ma il servizio civile in una comunità per oligofrenici di Don Orione. Li hai conosciuti anche tu – erano matti pericolosi solo per sé.

 

Come stabilito nelle istruzioni che il distretto mi aveva mandato, nel caso di impossibilità di raggiungere il luogo di destinazione occorreva recarsi alla più vicina caserma dei carabinieri: e siccome non c'era un autobus che mi portasse da Massa Marittima a destinazione andai dai carabinieri e furono loro a portarmi. C'è chi arriva con la macchina propria, chi col taxi, chi coi mezzi pubblici: a me mi portò la macchina dei carabinieri!

 

Gli ospiti erano disadattati. Pazzi. C'era uno che si pigliava due pasticche di serenase al giorno – roba che se lo fai tu vai in coma dopo le prime ventiquattrore!! Però ci sono stato bene: è una grande umanità!

 

Ti ricordi cosa mi dicesti – e m'ha salvato la vita fino ad adesso – quando mi trovasti in camera mia con la corda di canapa in mano che stavo cercando di assicurarla alla finestra per impiccarmici? Mi dicesti: “Io ho visto e vissuto con persone con grandi forme di disabilità, sulla sedia a rotelle, che non potevano articolare i movimenti delle mani e delle dita, ho visto queste persone che soffrivano parecchio perché il loro cervello era funzionante e razionale, capivano assolutamente la loro condizione: eppure, nessuno di loro ha mai espresso il desiderio o la voglia di morire! E vuoi farlo tu, che hai tutti gli organi funzionanti?”

 

Mi sentii una merda!

 

Ma avevi ragione. E così, quando sono andato a fare il servizio civile alla comunità di Don Orione, quella gente che tu avevi già visto – ma a me avevi solo citato, cioè, io ne avevo finallora solo sentito parlare da te – quella gente ho cominciato a vederla anche io.

 

Sono forse “invisibili” ma chiunque voglia vederli li può vedere in tutte le città – specie adesso con la crisi economica.

 

A quell'epoca li avevi visti solo tu. (Sei un artisti visivo di pittura e scultura e quindi hai sempre avuto la vista più allenata di me, hai sempre visto molto oltre pur senza guardare.)

 

 

 

Dormire in macchina non è un problema per dormire: è un problema quando ti svegli. Perché ti serve un cesso per i bisogni corporali e per lavarti. Ed è esattamente questo che tu mi hai offerto la prima volta che ho dormito in strada: sono venuto al tuo distributore di benzina alle sette di mattina e tu mi hai accolto – mi hai dato la chiave del cesso! (Te lo ricordi?)

 

Poi mi sono sistemato qui alla caritas, con questi amici che hanno condizioni simile alla mia: senza denaro, senza lavoro, senza futuro. E che, però, hanno tutti gli organi funzionanti!

 

Amici mai visti prima e di raro visti dopo ma, come nel militare, coi quali mi fa amici la stessa condizione sociale ed economica; ci fa amici il dormire insieme non per scelta ma per bisogno.

 

Fra questi amici, tre su sette sono nati e vissuti qui – uno viene anche da una condizione socioeconomica invidiabile.

 

Ma anche il negro ghanese con il quale parlo inglese è mio amico anche se adesso è sparito perché andava a Napoli: “Good Luck!!”, gli ho detto quando l'ho accompagnato con la macchina alla stazione a prendere il treno.

 

Questa cosa qui – dormire alla caritas, mangiare alla mensa dei poveri – è quella che i telegiornali chiamano crisi economica.

 

Questi amici non parlano volentieri delle loro storie – per questo sono “invisibili”. Perché si vergognano della loro condizione di vita attuale.

 

Ale, io non mi vergogno d'essere povero e sai perché? Perché alla fine, come dicesti tu quando mi trovasti con la corda al collo, ho tutti gli organi funzionanti!!!