L'autore autoritario
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- Categoria: Riflessioni e articoli
- Pubblicato Domenica, 12 Marzo 2017 21:37
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È probabile che la tentazione di una parola definitiva sia irresistibile.
La parola definitiva sull'essere umano, sul suo destino e significato, su chi siamo, dove andiamo, che facciamo; sul perché e su cosa sarà di noi. È quella parola che i poeti cercano. La parola che possa dire tutto immediatamente come il lampo in un cielo stellato è stata cercata per millenni e fino alla fine della stirpe umana la si continuerà a cercare.
I poeti ermetici del secolo scorso l'hanno tentato in molti modi, in molte forme: in tutti i modi e le forme che riuscivano a vedere e immaginare. Hanno tentato narratori, filosofi, improvvisatori: tenta anche il manovale lombardo che ho conosciuto una mattina di novembre a Vedano Olona prima di arrendersi al primo caffè corretto con grappa della giornata. Erano le sei e mezza di una mattina fredda. E così, se sarà caduto da una impalcatura di cantiere, la sua gamba rotta - prognosi sessanta giorni -, se sarà caduto da una impalcatura, è stata quella parola a farlo cadere, o la sua visione, immaginazione, delusione o che diavolo altro.
Certo, non càpita a tutti. Anzi, per fortuna a sempre meno persone, se dobbiamo giudicare dalla cronaca, dall'apparenza del mondo che ci circonda. Sembra, infatti, che il pensiero sia sempre più debole, le parole sempre meno, il linguaggio sempre più semplice. Ma naturalmente, non sempre ciò che sembra è ciò che è.
Sembra che l'autore sia l'artefice delle parole che dice e dei significati che mette insieme. In questa apparenza sta l'illusione della tentazione. Ma le parole esistevano già prima e i significati dipendono dal lettore. Parole che nessuno legge non significano assolutamente niente.
Certo, l'autore può inventare delle parole, come ognuno fa, ma perché esse siano comprese devono seguire delle regole. Regole biologiche, secondo Chomsky, semantiche secondo i semiologi, grammaticali secondo gli accademici. Queste regole non sono fatte dagli autori; sono semmai infrante da essi.
Nel nome di che? Della tentazione!
Quello che l'autore fa è mettere in campo un meccanismo, una specie di gioco da tavolo - un gioco di società. Ma è il lettore che lo gioca! Se l'autore parla di un cane apre moltissimi campi semantici ma moltissimi di più ne esclude. L'autore non mette in campo i significati che poi si potranno rintracciare nel testo (e ogni lettore identificherà i propri) ma esclude quelli che non vuole siano pertinenti al testo che intende scrivere. L'autore segue la stessa regola di Michelangelo: non mette e non definisce i significati, ma toglie quelli che sono in più.
Tutto qui! La tentazione, dunque, di pensare, che l'autore abbia una qualche autorità nell'interpretazione e persino nella stesura del suo testo, è una mera tentazione autoritaria e non corrisponde a nessuna attività di fatto.