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L'avversario, una storia vera?

La storia di Jean-Claude Romand raccontata da Emanuel Carrère ne “L’avversario” (Adelphi, edizione digitale 2013) è una storia vera.

Sembra una storia vera ma non lo è: è una cazzata, una puttanata!

Sabato 9 febbraio 1993 Jean-Claude Romand uccide la moglie e i figli. Va a pranzo dai genitori. Dopo pranzo uccide anche loro. Nella notte fra domenica 10 e lunedì 11, la casa dei Romand brucia: l’intervento dei vigili del fuoco salva la vita di Jean-Claude e rivela al pubblico il macabro scenario. Dalle risultanze giornalistiche e processuali appare che Jean-Claude Romand ha condotto per anni una doppia vita. Noto a tutti i parenti, familiari ed amici come medico ricercatore impiegato all’OMS di Ginevra risulta invece che non è neanche mai andato oltre il secondo anno di studi universitari in medicina. Jean-Claude Romand ha imbastito la propria vita sull’idea falsa di essere un medico affermato e tutti gli hanno creduto. Al momento che la situazione economica è diventata insostenibile o, chissà, lui stesso era stufo di continuare a perpetrare la sua menzogna, compie la strage della sua famiglia e tenta, dando fuoco alla casa con se stesso all’interno, di porre termine anche alla propria vita.

Jean-Claude Romand è stato condannato all’ergastolo il 6 luglio 1996 ed è in libertà vigilata dal 28 giugno 2019.

Emanuel Carrère pubblica “L’avversario” nel 2000, immediatamente tradotto in italiano da Eliana Vicardi Fabris per Einaudi. “L’avversario” non è, naturalmente, la mera cronaca della turpe vicenda: Emanuel Carrère cerca di istaurare con il criminale un rapporto diretto, contatta i suoi amici, li intervista e tenta di capire non solo il movente della strage ma anche, semplicemente, la vita del suo protagonista: ma non la capisce, non viene a capo della psicologia e della personalità, del resto alquanto complessa – almeno apparentemente -, del proprio personaggio. Da questa incomprensione deriva il titolo dell’opera: “L’avversario”. Jean-Claude Romand giustifica, agli atti processuali, il suo gesto come un raptus ed Emanuel Carrère non può che accettare questa spiegazione, in mancanza di quella spiegazione a motivazione di una intera vita che non riesce ad identificare con la propria indagine psicologico-letteraria. Il “raptus” è dunque la “possessione” della cultura medievale la cui causa non è altri che il “demonio” in persona: appunto “l’avversario”, il demonio per eccellenza. La parte finale del racconto, in cui Carrère racconta gli ultimi sviluppi psicologici di Romand verso una forma di religione, in qualche modo un esorcismo ed una espiazione. Se Jean-Claude Romand fosse redimibile e, dal momento che è in libertà vigilata, sembra che ancora una volta tutti gli abbiano creduto, sembra che tutti abbiano creduto alla sua espiazione.

Il fatto è che non c’era proprio niente da espiare. Perché l’espiazione fa riferimento a qualcosa come un “peccato” ma nessuno sa, e lui meno di tutti, se Jean-Claude Romand abbia o meno il senso del peccato o anche semplicemente una qualche norma etica o morale a cui poter fare riferimento. Quella di Jean-Claude Romand è semplicemente una vita a uffo gettata nell’agone dell’esistere indifferente a tutto. È solo una vita qualunque, di una banalità estrema com’è la banalità del male che, tuttavia, è male. Jean-Claude Romand non è altro da quello che George Simenon definirebbe “un povero diavolo”.

Nel 1947 George Simenon pubblica un racconto scritto il 15 agosto 1946: “On ne tre pas les pauvres types”, tradotto in italiano con “Non si uccidono i poveri diavoli” o “Nessuno ammazza un poveraccio”. Il racconto è pubblicato da Adelphi in “Un natale di Maigret” (edizione digitale 2015). Dal racconto è tratto l’omonimo episodio in due puntate di Maigret con Gino Cervi (20 e 27 febbraio 1966).

Maurice Tremblet viene ucciso in Rue de Dame da un colpo sparato con una carabina ad aria compressa sparato attraverso la finestra della sua camera. Maurice Tremblet si stava cambiando per andare a letto, la moglie era presente. Utilizzando la solita tecnica d’indagine del Commissario Maigret, per cui si può scoprire il colpevole comprendendo a fondo la vita e la psicologia della vittima, egli scopre che Maurice Tremblet conduce da anni una doppia vita (come quella di Jean-Claude Romand). Trablet, da anni ha lasciato il proprio lavoro all’oscuro della famiglia. Il fatto è che Maurice Tramblet vince una lotteria milionaria che gli consente di vivere di rendita e perfino di pagare uno stipendio fittizio alla figlia che conosce una parte del suo segreto. La vincita alla lotteria è ovviamente una trovata romanzesca. La storia di Maurice Tremblet è ovviamente falsa. Maurice Tremblet è una invenzione letteraria di George Simenon e “Non si uccidono i poveri diavoli” è solo un romanzetto d’appendice, un gialletto dell’immediato dopoguerra.

Ora, io non so se Jean-Claude Romand abbia mai letto Simenon: sarei sorpreso se Carrère non l’avesse fatto. La similitudine fra la vita di Maurice Tremblet e quella di Jean-Claude Romand mi pare irresistibile, irrevocabile ed irredimibile. La vita imita l’arte: Romand non ha fatto altro, nella sua vita, che imitare Tremblet. Non sarei sorpreso se, in questo momento, stesse imitando un qualche altro esempio letterario, magari mistico.

La differenza fra aver vinto una lotteria (Tremblet) e barcamenarsi con piccole o grandi truffe per sbarcare il lunario (Romand) mi pare l’unica differenza fra la finzione letteraria di Simenon e quella di Carrère. In ogni caso, entrambe sono finzioni letterarie.

La storia di Jean-Claude Romand raccontata da Emanuel Carrère ne “L’avversario” non è affatto una storia vera: è una finzione letteraria terribile e affascinante, affascinante proprio perché terribile.