Presentazione - per una specie di autobiografia
"(...) mi ritrovai per una selva oscura (...)"
(Dante Alighieri, "Commedia", I-1, v-2)
Quando Vittorio Alfieri scrive la propria autobiografia ("Vita scritta da esso") fra il 1790 ed il 1803 (in realtà, scrive la prima parte fra il 3 aprile ed il 27 maggio 1790 e la seconda tra il 4 ed il 14 maggio 1803; scritta, dunque, non con continuità fra il 1790 ed il 1803 ma in due trance ben definite, forse persino identificabili): quando Vittorio Alfieri scrive la propria autobiografia ha presente qualcosa - un principio - come una "esemplarità" della propria vita. Vittorio Alfieri scrive la propria vita come esempio e monito. Di che cosa? Di quella che io chiamerei una "via rivoluzionaria verso la libertà", sopratutto una libertà di movimenti e di circolazione la cui limitazione noi oggi non ci possiamo neanche immaginare dopo l'unione europea ed il trattato di Schengen.
La "Vita" di Vittorio Alfieri contiene anche molto altro, ovviamente, ma quello che mi interessava sottolineare qui era il fatto che lui aveva un motivo, uno scopo per scrivere di sé: come se una vita fosse una specie di missione, un progetto unitario, essa stessa uno scopo. Vittorio Alfieri pensava che la propria vita fosse... "sensata".
Perfino Giuseppe Ungaretti poteva ancora scrivere: "L'autore non ha altra ambizione, e crede che anche i grandi poeti non ne avessero altre, se non quella di lasciare una sua bella biografia." (Giuseppe Ungaretti, "Vita d'un uomo - Tutte le poesie", I Meridiani Mondadori, pp.527-528). La nota di Ungaretti è un autocommento (tardo) alla sua prima raccolta poetica, "L'Allegria".
Anche Ungaretti, come Alfieri e molti altri fino alle soglie del nuovo millennio, hanno pensato alla propria vita come "sensata"
Io, invece, non penso affatto che la vita abbia un senso e in questa idea "nichilista" mi pare di essere in buona compagnia - in questo scorcio di secolo a cavallo fra un vecchio ed un nuovo millennio. Non penso che la mia generazione ritenga la proria vita sensata; piuttosto, la viviamo come frammenti giustapposti, sequenze, in qualche modo episodi conchiusi in sé. Episodi a volte contemporanei ma scollegati.
Non è una sensazione nuova: già all'inizio del secolo scorso era nata una forma letteraria che chiamerei "frammentismo" che raccontava, parlava di episodi di vita, appunto, come frammenti, sensazioni, storie minime o perfino solo pensieri che venivano colti, compresi, descritti, razionalizzati per poi svanire. Anche i grandi pensieri svaniscono, purtroppo! Quando appaiono, talvolta, si è parlato di "epifanie".
La sensazione frammentaria della propria esistenza ha stabilito la fine della grande narrativa ottocentesca, dei grandi romanzi di genere. Certo con molte resistenze ed articolazioni ("grandi romanzi" sono stati scritti fino alla seconda metà del secolo scorso). Grandi romanzi se ne scrivono ancora (Wilbur Smith, per citarne solo uno) ma fanno parte della letteratura di consumo, sono storie per passare il tempo - non certo "grande" letteratura. (So pefettamente che questo giudizio può essere discusso.)
Il punto è: in questa "insensatezza" e "frammentarietà" delle vite, anche della propria, cosa "fa" un poeta? Cosa e di cosa, su cosa scrive? E perché lo fa?
All'ultima domanda ("perché") non so rispondere altro che con la citazione dantesca riportata in esergo: perché, semplicemente, uno ci si trova! Si scrive per abitudine, per sfogo, per dare agile corse a un'idea, un'emozione e anche solo un vaneggiamento. Si scrive... "per caso".
E di cosa? I temi, probabilmente, sono sempre quelli "eterni" dell'amore e della morte, del tempo che staziona o passa, del paesaggio umanizzato dallo sguardo dell'uomo o dai suoi sensi che percepiscono nello spazio le sensazioni piacevoli o spiacevoli attraverso l'olfatto, l'udito, il gusto. I temi, anche, della solitudine, dello spaesamento, dell'insensatezza che percepiamo nelle nostre vite, del dolore.
Io penso che un poeta "descrive" le percezioni dell'uomo, i frammenti di vita che gli capita di notare, attraverso sé o gli altri; i frammenti che appaiono sensati, in qualche modo - spesso "stranamente" e "straordinariamente".
Per questo motivo la mia prima raccolta di versi si intitola: "Randomize Timer". Che potremmo tradurre approssimativamente come "Cronometro casuale". "Random" è infatti una funzione elettronica che estrae numeri casuali; in questo caso i "numeri" del tempo, una specie di "cronologia impazzita".
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